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Disturbi correlati a sostanze e Disturbi da addiction
L’Addiction o “dipendenza” viene definita come un disturbo primario cronico legato alla ricompensa cerebrale e motivazionale, alla memoria e ai circuiti correlati. Disfunzioni in questi circuiti comportano manifestazioni in ambito biologico, psicologico, sociale e spirituale (American Society of Addiction Medicine [ASAM], 2011) le quali, assieme ai fattori ambientali, contribuiscono allo sviluppo e al mantenimento della dipendenza stessa (APA, 2013). Inoltre, queste disfunzioni, si riflettono patologicamente nell’individuo che persegue il piacere o il sollievo tramite l’uso della sostanza o di altri comportamenti (ASAM, 2011).I disturbi correlati a sostanze contemplano 10 classi distinte di sostanze: alcol; caffeina; cannabis; allucinogeni; inalanti; oppiacei; sedativi, ipnotici e ansiolitici; stimolanti; tabacco; e altre (o sconosciute) sostanze. Tutte le sostanze che vengono assunte in eccesso hanno in comune l’attivazione diretta del sistema cerebrale di ricompensa, che è coinvolto nel rafforzamento dei comportamenti e nella produzione dei ricordi. Esse producono un’attivazione così intensa del sistema di ricompensa che le normali attività possono venire trascurate. In aggiunta, in questa sezione rientra il disturbo da gioco d’azzardo, poiché i comportamenti che si evincono attivano sistemi di ricompensa simili a quelli attivati dalle sostanze di abuso (DSM-5,2013).
DSM-5 e Disturbo da Uso di Sostanze
Il DSM 5 pone le seguenti condizioni per la diagnosi di un Disturbo da Uso di Sostanze (DUS):
- Tolleranza: fenomeno per il quale è necessario intensificare il comportamento di uso (ad esempio aumentando la quantità di droga da usare o la frequenza delle assunzioni) per raggiungere i medesimi effetti sull’organismo.
- Astinenza: essa si caratterizza per la presenza di sintomi emotivi o fisici che si manifestano quando il soggetto non può mettere in atto il comportamento di assunzione.
- Interruzione o riduzione delle attività sociali, lavorative o ricreative: l’uso di droghe e l’instaurarsi del disturbo provocano una serie di danni sul funzionamento della persona
- Tentativi infruttuosi di ridurre e controllare l’uso: è frequente che il paziente, prima di chiedere formalmente aiuto allo psicologo o ai servizi, abbia tentato da solo di ridurre l’uso o di “controllarlo”. Generalmente si osserva una fase in cui il paziente è fermamente convinto di poter da solo limitare le proprie condotte realizzando una modalità d’uso conciliabile (ma solo idealmente) con il resto della sua vita, dei suoi impegni e dei suoi doveri.
- Dispendio di tempo: quando il disturbo si instaura, o va instaurandosi, un criterio da guardare è quello del tempo che il paziente dedica alla ricerca, all’utilizzo o al riprendersi dagli effetti della sostanza. Tanto più la dipendenza è conclamata tanto maggiore sarà il tempo che alla sostanza è dedicato nel corso di una giornata, fino a divenire l’unica attività presente, nei casi più gravi.
- Perdita di controllo sull’uso: il comportamento patologico di uso della sostanza tende a verificarsi nonostante le conseguenze negative che ha evidentemente apportato nel corso del tempo e nonostante le consapevolezze della persona al riguardo (il comportamento di uso diviene “compulsivo”).
- Uso continuativo nonostante la consapevolezza che la droga rappresenti un problema: molti pazienti non si fermano nemmeno a fronte dell’insorgere di gravi rischi per la salute oppure davanti a nette crisi familiari.
- Uso ricorrente con incapacità ad adempiere i propri compiti: molti pazienti perdono il loro lavoro a causa delle assunzioni di droga, interrompono il corso degli studi, oppure divengono incapaci ad assolvere i loro compiti familiari o genitoriali.
- Uso in situazioni a rischio: nel corso del tempo la capacità di stimare il rischio associato alle assunzioni si riduce progressivamente, divenendo le assunzioni compulsive può accadere di sentirsi “costretti” a fare uso nonostante ci si debba mettere alla guida o si debbano svolgere compiti di precisione che non possono essere “razionalmente” conciliabili con lo stato di alterazione dato dalle sostanze.
Uso ricorrente nonostante ciò determini problemi sociali o interpersonali: come precedentemente affermato l’uso di droga diviene saliente, anche a discapito delle proprie relazioni affettive.
Craving: desiderio impellente della sostanza.
Disturbo da Uso di Sostanze
Il disturbo da Uso di Sostanze (DUS) può essere diagnosticato in relazione a tutte le sostanze menzionate in precedenza, eccetto la caffeina. La cannabis è la sostanza mondialmente più utilizzata, ne fa uso il 4% della popolazione globale in fasce d’età tra i 15 e i 64 anni (UNODC, 2021, p.21). Le sostanze che hanno maggiore impatto nell’ambito sanitario sono alcol, cannabis e tabacco, a causa dell’elevata prevalenza in termini di consumo e dell’età precoce in cui inizia il loro utilizzo (Shmulewitz, Greene, & Hasin, 2015). Tra le conseguenze in ambito sanitario figurano un incremento nel rischio di sviluppo di disturbi mentali, di contrarre infezioni quali HIV ed epatite C, in particolare nel caso di consumo di oppioidi, di morire prematuramente. Il consumo di sostanze è anche associato al conseguimento di bassi livelli di formazione scolastica, una maggiore difficoltà nel trovare lavoro e mantenerlo e situazioni finanziarie di instabilità e povertà (UNODC, 2021).
Il DUS si distingue per un cluster di sintomi cognitivi, comportamentali e fisiologici che testimoniano la persistenza dell’individuo nel far uso della sostanza nonostante i problemi correlati a essa (APA, 2013). L’assunzione di sostanze, soprattutto in quantità eccessive, provoca un’attivazione diretta del sistema cerebrale di ricompensa e, mentre le prime esperienze con la sostanza sono ampiamente volontarie, la loro continua assunzione altera le funzioni cerebrali interferendo nella capacità di autoregolare i comportamenti relativi all’assunzione e sensibilizza il cervello allo stress e agli stati d’animo negativi (Volkow & Morales, 2015). Ad assumere un ruolo cruciale nel piacere soggettivo associato alla ricompensa è la dopamina (DA), che tramite “periodici picchi di elevazione, stabilisce abitudini di risposta tra ricompense e stimoli predittori delle stesse” (Wise, 2008), diventa, quindi, complice nel rafforzare comportamenti, risposte abituali e preferenze condizionate. Prima che insorga la dipendenza dalla sostanza si attraversa una fase di tolleranza, la quale è caratterizzata dal decremento graduale dell’effetto di una droga quando ne viene assunta ripetutamente una certa dose (Peper, 2004). La tolleranza viene descritta come il “processo di adattamento agli effetti disturbanti della sostanza”, per cui il corpo apprende come contrastarne gli effetti (Peper, 2004). Durante questo stadio, l’astinenza provoca stati emozionali negativi che mantengono la relazione motivazionale tra l’individuo e la sostanza durante i momenti in cui gli incentivi condizionati dalla stessa non sono disponibili. Alle prime assunzioni volontarie, e alla fase di tolleranza, segue la transizione verso un uso compulsivo che è dovuta agli shifts dinamici dei loci che si occupano del controllo del comportamento (Everitt & Robbins, 2013). I cambiamenti nei circuiti cerebrali possono essere permanenti nonostante la disintossicazione, questo soprattutto nei casi più gravi. Gli effetti di questi mutamenti si manifestano a livello comportamentale tramite ricadute e l’innescarsi del craving (APA, 2013), di tipo 1 quando si è esposti a stimoli correlati alla sostanza, tra cui segnali ambientali che sono stati associati all’assunzione; di tipo 2 quando è caratterizzato da uno stato interno di stress, disforia, ansia o umore depresso, causato ad esempio dall’astinenza, questo se è combinato al craving di tipo 1 provoca ricadute in comportamenti di ricerca della sostanza (Koob & Le Moal, 2008).
Le diagnosi di DUS si strutturano in base alla presenza di sintomi cognitivi, comportamentali e fisiologici che conseguono il ripetuto uso di sostanze o la ripetuta attuazione di comportamenti di dipendenza nonostante la presenza di problemi clinicamente significativi (Shmulewitz et al., 2015).
I disturbi indotti da sostanze
I disturbi indotti da sostanze sono potenzialmente gravi, solitamente temporanei ma che, anche se non frequentemente, possono persistere come sindromi del sistema nervoso centrale (SNC). Tra essi figurano intossicazione, astinenza e disturbi mentali indotti da sostanze o farmaci, tra cui disturbi psicotici, disturbo bipolare e altri correlati, disturbi depressivi, disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) e correlati, disturbi del sonno, disfunzioni sessuali, delirium, e disturbi neurocognitivi. Questi si sviluppano a causa degli effetti delle sostanze di abuso, dei farmaci o di altre tossine. Il loro sviluppo è caratterizzato dalla stretta connessione con l’uso di farmaci prescritti per trattamenti medici ma assunti in maniera scorretta o con l’uso delle 10 sostanze responsabili del DUS (APA, 2013).
Per la diagnosi è solitamente necessario che il disturbo emerga in seguito al riconoscimento di un DUS nell’individuo; inoltre, tutti i sintomi devono essere giustificabili esclusivamente dal consumo della sostanza o dall’abuso del farmaco (Bakken, et al., 2003).
Strategie per il trattamento
I disturbi correlati a sostanze presentano due poli, quello psichico e quello della dipendenza, generando delle modalità difensive per negare la percezione dei propri bisogni. Si tratta, di due modi diversi di difendersi di fronte ad un unico problema: quello del riconoscimento e dell’accettazione dei bisogni. La questione centrale, dunque, è quella di partire dal paziente e dalla comprensione dei suoi bisogni specifici, con l’individuazione di quelli che motivano la sua sofferenza; essi infatti costituiscono la matrice da cui sorgono le angosce, alle quali seguono i processi di elaborazione, di distorsione, di difesa, di resilienza e i tentativi di soluzione, da cui infine emergono le strutture psicopatologiche (Bonetti et al.,2014).
Dipendenze comportamentali
La caratteristica essenziale delle dipendenze comportamentali è il fallire al resistere all’impulso di attuare un comportamento che danneggia l’individuo stesso o gli altri. Ognuna di queste dipendenze è caratterizzata da un pattern ricorrente di azioni specifiche rispetto a un ambito, la cui ripetizione interferisce con il funzionamento dell’individuo in altri domini (Grant, et al., 2010). In questa categoria rientra solo il disturbo da gioco d’azzardo nel DSM-5, ma anche il gaming disorder nell’undicesima edizione dell’International Classification of Diseases (ICD-11; World Health Organization [WHO], 2019). Vi sono altre sottocategorie come la dipendenza da sesso, da esercizio fisico o da acquisti che sono ancora in fase di indagine (APA, 2013). Gli individui che ne soffrono presentano alti livelli di impulsività e sensation seeking e, solitamente, bassi livelli di evitamento del danno (Grant et al., 2010).
Le dipendenze comportamentali, come descritto nel DSM-IV-TR (APA, 2000), si caratterizzano per la sensazione di “tensione o attivazione precedente al commettere l’atto” e per quella di “piacere, gratificazione o sollievo nel momento in cui esso viene compiuto”. Anche gli individui con dipendenze comportamentali riportano quindi un’urgenza o craving prima di agire il comportamento, come i pazienti con diagnosi di DUS, e, allo stesso modo, anche nelle dipendenze comportamentali si attua il processo di tolleranza che comporta, per l’individuo, un bisogno di aumentare la frequenza di attuazione del comportamento in questione allo scopo di ottenere lo stesso effetto umorale. La co-occorrenza delle dipendenze comportamentali con i DUS è frequente e suggerisce una fisiopatologia comune tra i disturbi (Grant et al., 2010).
Disturbo da Gioco d’Azzardo (DGA)
Il disturbo da Gioco d’Azzardo è la dipendenza comportamentale più studiata. Spesso inizia in età infantile o adolescenziale, e più precocemente nei maschi (Grant et al., 2010); ciò nonostante, circa un terzo degli individui che ne soffre cessa autonomamente senza avvalersi di terapie (Grant et al., 2013). A causa di difficoltà legali e finanziarie, si registrano frequenti tentati suicidi tra i pazienti (17%). È caratterizzato da pattern maladattivi persistenti e ricorrenti a cui conseguono un funzionamento compromesso dell’individuo rispetto alle sue attività quotidiane, la qualità della vita ridotta, divorzio e incarcerazione (Grant et al., 2013). Sono frequenti le preoccupazioni relative al gioco, gli sforzi volti allo smettere, l’irritabilità o irrequietezza successiva al tentativo di smettere di giocare. Inoltre, gli individui giocano d’azzardo per evitare uno stato disforico e recuperare le perdite da gioco e tendono a mentire sull’argomento alle persone con cui intessono relazioni significative (Yau & Potenza, 2015).
Criteri DSM-5
Il Disturbo da Gioco d’Azzardo è definito come (Criterio A) un comportamento problematico persistente o ricorrente legato al gioco d’azzardo che porta a disagio o compromissione clinicamente significativi, come indicato dall’individuo che presenta quattro (o più) delle seguenti condizioni entro un periodo di 12 mesi:
- Ha bisogno, per giocare d’azzardo, di quantità crescenti di denaro per ottenere l’eccitazione desiderata.
- È irrequieto o irritabile se tenta di ridurre o di smettere di giocare d’azzardo.
- Ha fatto ripetuti sforzi infruttuosi per controllare, ridurre o smettere di giocare.
- È spesso preoccupato dal gioco d’azzardo (per es., ha pensieri persistenti che gli/le fanno rivivere passate esperienze di gioco d’azzardo, analizzare gli ostacoli e pianificare la prossima avventura, pensare ai modi di ottenere denaro con cui giocare d’azzardo).
- Spesso gioca d’azzardo quando si sente a disagio (per es., indifeso/a, colpevole, ansioso/a, depresso/a).
- Dopo aver perduto denaro al gioco d’azzardo, spesso torna un’altra volta per ritentare (ȃrincorrereȄ le proprie perdite).
- Mente per occultare l’entità del coinvolgimento nel gioco d’azzardo.
- Ha messo in pericolo o perduto una relazione significativa, il lavoro, opportunità di studio e di carriera a causa del gioco d’azzardo.
- Conta sugli altri per procurarsi il denaro necessario a risollevare situazioni finanziarie disperate causate dal gioco d’azzardo.
La gravità del disturbo può variare da: a) lieve (4-5 criteri); b) moderata (6-7) criteri; c) grave (8-9) criteri.
(DSM-5, 2013)
Epidemiologia ed eziologia
Il fenomeno vede una prevalenza nel sesso maschile con una distribuzione telescopica tra le donne: con questo si intende che esse si coinvolgono più tardi nel comportamento, ma necessitano di periodi di transizione minori per passare da comportamento volontario a dipendenza. In questo disturbo, come nei DUS, difficoltà in ambito familiare e maritale sono comuni tra i pazienti, i quali spesso commettono atti illegali, come furti, appropriazioni indebite, falsificazioni di assegni, allo scopo di finanziare il proprio gioco patologico o gestirne le conseguenze (Grant et al., 2010). Da un punto di vista genetico, studi sui gemelli mostrano come i fattori genetici potrebbero contribuire più di quelli ambientali sul rischio di sviluppo di dipendenza da gioco. Dal punto di vista neurobiologico, si è osservato come individui che agiscono un gioco d’azzardo problematico, come quelli che dipendono dalla cocaina, presentano delle differenze nelle fibre secondarie (o crossing fibers) presenti nella materia bianca cerebrale(Yau & Potenza, 2015).
Trattamento
La terapia più comunemente utilizzata per il gioco patologico è di approccio Cognitivo-Comportamentale ed è stata adattata da quella originariamente pensata per i DUS (Potenza, 2017). I modelli comportamentali considerano il gioco patologico una conseguenza rinforzata all’interno di una equazione funzionale che prevede una situazione che precede il comportamento e la conseguenza comportamentale. Il trattamento consiste nel modificare una o più componenti dell’equazione attraverso strategie quali l’individuazione di attività alternative funzionali, il riconoscimento delle situazioni che attivano il comportamento disfunzionale, l’esposizione a situazioni ad alto rischio di ricadute e l’uso di tecniche che aumentano l’assertività, la capacità di risoluzione dei problemi e di rilassamento (Grant et al., 2011). Negli ultimi anni, tecniche comportamentali come la desensibilizzazione e le procedure di esposizione hanno ricevuto maggiore attenzione rispetto alle tecniche avversive, rilevandosi altrettanto efficaci (Dowling et al., 2008).
Si stima che solo il 10% dei giocatori problematici richieda un supporto psicologico (Savron et al., 2007; Cunningham et al., 2011). Tra coloro che iniziano il trattamento, un’alta percentuale, abbandona la terapia. Il problema del drop out è dunque molto sentito in campo clinico e, negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha intensificato gli sforzi per individuare i predittori dell’abbandono della terapia (Ladouceur et al., 2001;2005; Picucci et al., 2013).
Come posso fare per iniziare un percorso di cura…
Uno degli aspetti più importanti del recupero da questi disturbi è prendersi cura di sé stessi.
- Dormire a sufficienza, seguire una dieta equilibrata ed esercitarsi regolarmente.
- Evitare i fattori scatenanti che possono causare ricadute, comprese situazioni stressanti, situazioni sociali in cui è presente l’alcol e luoghi in cui si beveva.
- Unisciti a un gruppo di supporto in cui puoi condividere le tue lotte e sentirti meno solo.
- Gestire i livelli di stress e le emozioni attraverso tecniche di rilassamento e trattamenti specifici.
- Ottenere un aiuto professionale.
Compiere queste semplici azioni può aiutarti ad aumentare le possibilità di guarigione e migliorare la qualità della vita (www.mentalhealth.com).